E’ primavera, è tempo di elezioni

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Ovvero: l’ennesimo referendum che dimostrerà quanto questo strumento sia inconsistente nella creazione e/o potenziamento di lotte nei territori.

l referendum sulla ripublicizzazione dell’acqua del 2011 venne vinto nelle urne ma venne perso nei fatti: l’effettiva ripubblicizzazione del servizio idrico non avvenne e il risultato del referendum venne ribaltato dall’azione legislativa a tutti i livelli. Le bandiere esposte dai comitati per l’acqua dopo essersi accorti che il referendum non aveva cambiato assolutamente nulla nella gestione del servizio idrico – quelle con la scritta “il mio voto va rispettato” – suonano come una sconfitta più che come un rilancio della lotta. Anche perché il voto, in realtà, è stato rispettato: gli articoli abrogati dal referendum sono stati cancellati dalle leggi in questione. Ma questo è tutto. In sostanza, lo strumento cancella una legge o parte di essa, non stabilisce nessun principio. Se lo vogliono, governo e parlamento possono aggirare il risultato del referendum, come hanno fatto con quelli sul finanziamento ai partiti e sull’acqua. Le leggi le fanno loro. E le fanno secondo gli interessi loro e dei loro referenti nel mondo dell’industria e della finanza, non secondo la volontà e gli interessi dei cittadini. Quindi è lo stesso strumento del referendum, per come è concepito a livello costituzionale, ad essere strutturalmente limitato: del resto non possono essere sottoposte a vaglio referendario le leggi riguardanti trattati internazionali e i bilanci economici.

La favoletta della costituzione più bella e democratica del mondo la lasciamo volentieri ai comici riciclatisi in propagandisti governativi. Le significative lotte sociali degli scorsi decenni sono state vinte a prescindere dai referendum: la vittoria contro il fronte reazionario che si opponeva ad aborto e divorzio e che tentava di eliminare quelle allora recenti conquiste sociali tramite un referendum venne ottenuta fuori, e in parte contro, le urne. I movimenti sociali dell’epoca che intervennero nelle lotte di genere seppero costruire le condizioni per sconfiggere sul campo le forze reazionarie e costringere a delle riforme, seppur parziali e da ampliare e, nel caso dell’aborto, disattese dagli stessi che dovrebbero applicarla. La dimostrazione più palese che solamente una continua mobilitazione può conservare e ampliare le conquiste precedenti. Anche la vittoria referendaria contro il nucleare del 1986 fu solamente la ratifica di una situazione di fatto: i rapporti di forza costruiti dal movimento contro il nucleare avevano bloccato la costruzione di nuovi impianti e messo in crisi il funzionamento di quelli preesistenti.

La lotta No Tav, per esempio, è una delle lotte più significative degli ultimi anni: non ha mai preso in considerazione l’uso dello strumento referendario e ha sempre contato sulle proprie forze evitando di farsi intruppare in fallimentari marce alle urne, stessa cosa per le importanti lotte ambientali contro la criminale gestione dei rifiuti in Campania. Al contrario, la lotta No dal Molin, seppure avesse una base di massa non indifferente, uscì malconcia dal tentativo di prova referendaria in cui era stata intruppata da un auto-nominatosi ceto politico di movimento.

Inoltre l’attuale consultazione sulle estrazioni offshore di greggio e di gas si inserisce all’interno della logica della guerra per bande che sta sconvolgendo il PD e i suoi satelliti e non in contesti di lotte reali ambientali sul tema. I promotori di questo referendum sono gli stessi che, in altri momenti, venderebbero a prezzo stracciato qualsiasi concessione estrattiva alla cordata di imprese amiche di turno.

Ma soprattutto è un altro il grande danno che la propaganda referendaria, da ambo i lati, sta creando: la diffusione della falsa idea che la devastante crisi ambientale che stiamo vivendo sia legata solamente alla questione trivelle si/trivelle no e non al modo di produzione capitalista in cui giocoforza viviamo. La devastazione ambientale avviene a tutti i livelli ed è globalizzata: dai siti estrattivi nel golfo del Niger ai petrolchimici “nostrani” come Porto Torres, Gela, Marghera etc; dalle aree indigene del Sud America, attaccate dalle industrie petrolifere di Stato, Venezuela in testa, alle piane ricche di idrocarburi di scisto di USA e Canada; dai deserti mediorientali fino alle tante “terre dei fuochi” sparse per l’Europa, Italia compresa, o per il mondo. La devastazione ambientale globalizzata è la fase suprema della globalizzazione di un modo di produzione basato sull’espropriazione dei beni, sulla mercificazione di tutto e sull’accumulazione di capitale.

E non sarà certo l’ennesima passeggiata elettorale a bloccare una crisi che va affrontata nel modo più’ adeguato, e quindi radicale, possibile.

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Solidarietà a tutte le vittime delle guerre e del terrorismo

Solidarietà a tutte le vittime delle guerre e del terrorismo

I barbari attacchi del ventidue marzo a Bruxelles confermano tragicamente quanto andiamo sostenendo da tempo: noi siamo le vittime dei giochi di potere. Rivediamo ancora oggi la stessa dinamica che abbiamo visto in occasione di tutti gli ultimi attentati: decine di p200px-Anarchy-symbol.svgersone uccise, politicanti in grisaglia o in felpa verde che esprimono le loro volgarità nella speranza di racimolare qualche voto in più, le classiche lacrime di coccodrillo delle classi dirigenti europee che, mentre esprimono cordoglio per i morti nelle capitali occidentali, esportano guerre e morte nel resto del mondo, islamisti assassini che rivendicano con orgoglio gli attacchi mortali e che applicano le stesse logiche di potenza degli stati. È questo lo spettacolo, ogni volta più tragico nel suo ripetersi, a cui assistiamo da quell’oramai lontano settembre 2001.

La retorica dello scontro di civiltà ha fornito il paravento ideologico per guerre che hanno causato centinaia di migliaia di morti in tutta la Mesopotamia, nel Nord Africa e in Asia Centrale. Centinaia di migliaia di persone sono costrette a migrare come profughi dalle loro terre, morendo a migliaia nel viaggio, scacciate da guerre che sembrano senza fine, conflitti ampiamente foraggiati e sostenuti dai governi occidentali, ma anche da quello russo, da quello turco, dalle petromonarchie del Golfo e dall’industria armiera di tutto il mondo.

E mentre i razzisti e fascisti nostrani di tutte le risme ricamano su questi fatti proposte antiumanitarie di chiusura delle frontiere e di sospensione dei diritti, l’Unione Europea si mette a regalare miliardi di euro al dittatore guerrafondaio Erdogan sperando di potere delegare a lui la gestione dei flussi di profughi dalla Siria, facendo finta di non sapere che lo stesso governo turco è stato, per calcolo politico, tra i principali sponsor dell’ISIS.

L’Unione Europea regala soldi a chi sostiene, politicamente, militarmente e logisticamente la stessa entità che ora rivendica gli attacchi alle città europee. Una mossa degna di un film comico, ma c’è poco da ridere: è la realtà dei fatti. Una mossa che dimostra come la classe dominante occidentale non abbia nessuna reale esigenza di porre fine alla questione del terrorismo e come questo sia funzionale agli interessi di chi fa i propri affari sulla pelle altrui. In occasione degli attacchi di Parigi e Beirut del novembre 2015 avevamo scritto che questa è la loro guerra perché sono loro a guadagnarci ma che i morti sono i nostri: che le vittime siano in un aeroporto belga o in un bistrot parigino, in una metropolitana londinese o in mercato siriano, in una via di Istanbul o in una città del Bakur, che siano causate da un invasato imbottito di esplosivo o da un sofisticato missile prodotto in Italia e venduto all’Arabia Saudita che viene lanciato su un mercato dello Yemen a noi poco cambia.

Non accettiamo l’idea per cui le vittime sul suolo europeo siano da piangere mentre quelle sulla sponda sud del Mediterraneo siano da accantonarsi nel novero dei “danni collaterali della guerra al terrore” o simili fregnacce. La barbarie del sistema economico e politico in cui viviamo si è mostrata oggi ancora una volta. A noi, quelli che nei piani dei potentati dovrebbero svolgere il ruolo di comparse sacrificabili, il compito di costruire un’alternativa. Compito non facile ma possibile, come dimostrato dalla lotta di coloro che, in Rojava, nel Bakur e nella stessa Turchia, si oppongono alle politiche delle potenze regionali e da coloro che, in Europa, si oppongono alle politiche antipopolari, guerrafondaie e razziste dei propri governi. Compito possibile e sempre più necessario per realizzare una società più giusta, libera e solidale.

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La giornata del ricordo selettivo

Come ogni anno il 10 febbraio viene celebrata la “giornata del ricordo”. Si vorrebbero ricordare le popolazioni istriane costrette all’esodo tra la fine della seconda guerra mondiale e la metà degli anni cinquanta ma, nei fatti, si da adito al peggior nazionalismo revanchista.

Partiamo dai fatti: alla fine della seconda guerra mondiale in tutta Europa, sopratutto in quella orientale, più di venti milioni di persone sono costrette ad abbandonare i loro territori natii e a insediarsi altrove. Questo avviene lungo tutte le linee di frontiera ed è foto-fucilazioniaccompagnato ovunque da dinamiche estremamente violente. La seconda guerra mondiale, scatenata dalle velleità imperialistie di tutte le potenze in gioco, lasciò profonde cicatrici in tutto il continente: sul confine orientale italiano si assistette all’esodo di circa trecentomila persone e ad una cifra non facilmente determinabile, ma non superiore al migliaio, di omicidi. Il territorio giuliano-istriano era stato incorporato dal regno d’Italia dopo la prima guerra mondiale, condotta dall’Italia come guerra di aggressione nei confronti degli austroungarici, con cui il regno era alleato fino a poco prima, e venne fin da subito sottoposto ad un’italianizzazione forzata; queste operazioni di vera e propria pulizia etnica-culturale vennero rafforzate e ampliate dal regime fascista, con l’ovvio placet di Casa Savoia: vennero distrutti i centri culturali slavi, proibito l’utilizzo delle lingue non italiane, italianizzati toponimi e cognomi; con l’entrata in guerra dell’Italia savoiardo-fascista nel 1940 si procedette all’invasione diretta dei territori sloveni e croati: nuova ondata di pulizia etnica, decine di migliaia di civili costretti a morire di fame nei campi di concentramento italiani, paesi interi dati alle fiamme e rappresaglie con centinaia di morti che nulla ebbero da invidiare a quelle operate dall’esercito nazista qualche anno dopo in Italia. Per dare l’idea delle modalità di gestione messe in campo dai fascisti basti pensare che la capitale slovena, Lubiana, venne interamente circondata da una barriera di filo spinato e postazioni militari per spezzare la resistenza della popolazione. Nessun ufficiale italiano venne mai processato per quei fatti: anzi, o ricaddero tutti nelle varie amnistie del dopoguerra o non vennero mai nemmeno incriminati. Dopo il 1943 il territorio giuliano-istriano-dalmata fu svenduto dalla Repubblica Sociale Italiana all’alleato nazista ed era direttamente controllato dalle autorità germaniche. Queste continuarono la feroce repressione nei confronti di tutta l’opposizione, italiana e slava, e crearono il campo di concentramento, e in parte di sterminio, della Risiera di San Sabba dove perirono più di cinquemila tra oppositori politici ed ebrei. Questi sono gli antefatti, in forma sintetica, degli avvenimenti dell’esodo.

Prima che qualcuno ci tacci di di voler nascondere la polvere sotto i tappeti o tiri fuori altre simili amenità: si, le milizie titine commisero una serie di omicidi. In parte rivolti contro fascisti e collaborazionisti, in parte rivolti verso resistenti, anche comunisti, non allineati al ComIntern e, dopo la svolta antisovietica, verso comunisti non allineati con le posizioni prese dal governo di Tito. In mezzo a queste dinamiche vi furono anche dei processi di pulizia etnica, seppur di minore intensità rispetto a quelli messi in campo dallo stato italiano nei decenni precedenti. Dinamiche complesse che rispecchiavano la complessità della situazione che vedeva quei territori come perno dei primi grandi scontri geopolitici tra i blocchi della guerra fredda. E a loro volta queste dinamiche rispecchiavano in parte la complessa composizione etnica del territorio, complessa composizione che, è bene ricordarlo, non aveva prodotto scontri fino al rafforzarsi dei nazionalismi del ventesimo secolo, in primis di quello italiano a guida liberal-monarchica prima e poi fascista-monarchica.

La causa prima dell’esodo delle popolazioni italiane, e delle conseguenti ondate di profughi che, detto per inciso, non furono propriamente ben accolte dal resto del paese, furono le stesse dei due conflitti mondiali della prima metà del novecento: volontà espansioniste e imperialiste delle strutture statali territorialiste, la volontà di espandere i propri mercati esclusivi da parte delle classi dirigenti, il disciplinamento della popolazione tramite le ideologie nazionaliste, i conflitti per il controllo dei territori colonizzati.

La via per uscire da queste dinamiche omicide è una sola: rifare il mondo dalle basi, costruire una società che garantisca un equo accesso alle risorse, che si opponga alle discriminazioni di razza, classe e genere, che decostruisca i miti nazionalisti e le frontiere.

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I dimenticati che non dimentichiamo – 2016

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Gay, lesbiche, bisessuali, transessuali dallo sterminio nazista ai giorni d’oggi

Quest’anno riprendiamo il nostro percorso di studio su tutte quelle categorie di persone, discriminate e sottoposte a sterminio durante il periodo nazista, ma la cui oppressione è continuata anche in seguito.

Sabato 23 gennaio ci occuperemo nello specifico di come coloro la cui sessualità non corrispondeva alle norme imposte dai regimi totalitari, ma anche dalle democrazie, siano stati sterminati o comunque gravemente discriminati. Discriminazioni che vanno avanti anche al giorno d’oggi; discriminazioni su cui è strutturalmente fondata la nostra società eteronormativa.

Anche qua, a Reggio Emilia, abbiamo potuto assistere a una ricomposizione di un fronte omofobo e sessista, sostenuto a piene mani dal vescovo e dagli ambienti clericali, spesso interni alle istituzioni. Le manifestazione delle Sentinelle in Piedi e l’apertura del centro Courage sono solo la punta dell’iceberg di una cultura da sempre omofoba e patriarcale. Pensiamo che questa iniziativa si inserisca in un percorso, in divenire, che costruisca una critica radicale a tutte quelle strutture sociali basate sulla sistematica discriminazione di chi è considerato diverso.

In questa occasione parleremo della persecuzione, e sterminio, di coloro che non rientravano nell’eternormatività da parte dei nazisti, con una relazione a cura di Gian Maria Valent, poi proietteremo il documentario Paragraph 175 (65 minuti, Germania, 2000 regia di Rob Epstein e Jeffrey Friedman), e, infine, con il Collettivo Variabile Indipendente discuteremo di cosa significhi fare politica di genere nella nostra società. Dopo gli interventi ci sarà spazio per un doveroso dibattito.

Sabato 23 gennaio 2016 ore 17.30 presso il Circolo Anarchico Berneri – via don Minzoni 1/d Reggio Emilia. A seguire cena offerta libera.

Collettivo Variabile Indipendente – Reggio Emilia Federazione Anarchica Reggiana – FAI

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Contro tutti i fascismi – Contro tutti gli autoritarismi

Contro tutti i fascismi – Contro tutti gli autoritarismi

La Federazione Anarchica Reggiana – FAI in merito a i rigurgiti del fascismo locale e alle reazioni da essi scatenate ribadisce la necessità della costruzione, qui e ora, di processi di autogestione e liberazione sociale fondati su solidarietà ed eguaglianza.

Per quel che ci riguarda i residuati bellici post missini sono una delle tante facce delle politiche autoritarie che la stragrande maggioranza delle forze politiche istituzionali esprimono e praticano con contenuti e valori profondamente autoritari e repressivi, a partire dal governo e dai poteri costituiti.

Storicamente il fascismo nasce come reazione alle mobilitazioni in senso rivoluzionario del biennio rosso. La sua nascita è stata sponsorizzata dagli agrari, dal clero, dalla monarchia e dalla grande industria italiana per colpire le forze che si organizzavano, per l’emancipazione sociale, dopo il grande macello della prima guerra mondiale. Gli anarchici sono stati in prima fila per contrastare la violenza fascista e poliziesca scatenata contro i lavoratori. Hanno combattuto il fascismo sia nel 1920-22, tramite gli Arditi del Popolo, che durante l’esilio dall’Italia durante il regime, compresa la rivoluzione spagnola e durante la resistenza. Il contributo anarchico alla guerra di liberazione è stato fondamentale, secondo solamente a quello del PCI, pari a quello del Partito Socialista e a quello del Partito d’Azione, e ha pagato un altissimo prezzo in vite umane. Non solo: in tutto il dopo guerra l’anarchismo assieme ad alcune componenti della sinistra comunista si è sempre battuto sia contro la logica dei blocchi che contro il recupero “democratico”, avvenuto tramite amnistie e tanto altro, dei repubblichini.

La Federazione Anarchica Reggiana – FAI ritiene altresì contraddittorio vedere partiti come il PD e le istituzioni cittadine scandalizzarsi di fronte all’indizione delle manifestazione fascista di sabato 16 gennaio.

Il PD, sia a livello nazionale che a livello locale, è il rappresentate del potere ed è il promotore di politiche antipopolari e guerrafondaie. Riteniamo contraddittorio che un tale partito, e i suoi oggettivi alleati locali, si scandalizzino davanti ad una manifestazione di residuati bellici accusandoli di essere razzisti e portatori di un pensiero autoritario. E’ dunque una banalità, necessaria, affermare che i promotori della manifestazione di sabato sono portatori di una cultura reazionaria basata su tristi mitologie e rituali baggianate.

Ma che dire di chi promuove misure di austerity, tagli a sanità e istruzione che colpiscono tutte le fasce deboli della popolazione?

Che dire di chi ha prima istituito i CPT (legge Turco-Napolitano), poi CIE e continua a rifiutarsi di abolire il reato di clandestinità?

Che dire di chi ha appoggiato e promosso tutti gli interventi militari italiani in Medioriente o nei Balcani negli ultimi venti anni?

Che dire di chi è alleato con la curia italiana, è organicamente collegato con banche, cooperative, aziende che hanno peggiorato le condizioni di vita di milioni di lavoratori? O, ancora, di chi ha promosso politiche di privatizzazione di beni pubblici e la devastazione del territorio, tramite cementificazione e opere pubbliche inutile e deleterie?

Non possono essere sicuramente questi i soggetti deputati a contrastare le culture autoritarie e razziste.

Un’autentica opposizione al fascismo si costruisce tutti i giorni con comportamenti e valori in sintonia con la libertà, la solidarietà e con una metodologia orizzontale, priva di deleghe e di voti ed alternativa agli schemi di una società basata sullo sfruttamento e sulla mercificazione del mondo.

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Cambiare la società per contrastare l’inquinamento

Cambiare la società per contrastare l’inquinamento

L’aumento delle sostanze inquinanti e il drammatico calo della qualità dell’aria sono diventate materie di dibattito quotidiano. Davanti ad un inquinamento oramai pluridecennale di tutta la pianura Padana, dovuto a una combinazione di fattori quali intenso traffico veicolare, emissioni di impianti di riscaldamento, allevamenti intensivi e di impianti industriali, le istituzioni riescono al più a proporre una domenica senza auto. È necessario comprendere che il problema dell’inquinamento, con i suoi gravissimi strascichi per la salute umana e per gli ecosistemi, è un problema strutturale che non può essere risolto tramite palliativi di un giorno o due o il richiamo ad un malinteso volontarismo cittadino. Fintanto che la produzione di beni di consumo sarà modellata sulle esigenze del mercato e non sulle esigenze di individui e collettività non si verrà a capo del problema.
Negli anni abbiamo visto il progressivo deteriorarsi del trasporto pubblico sia su gomma che su rotaia: corse tagliate, linee ferroviarie locali dismesse, parco macchine in molti casi vecchio e inquinante, aumento dei costi dei biglietti. In compenso abbiamo visto crescere interi quartieri satellite intorno a Reggio Emilia e ad altri comuni e frazioni della provincia, che hanno ulteriormente disperso sul territorio la popolazione America08.sizedcontribuendo ad un maggiore uso dell’auto.
Un mix di politiche urbanistiche incentrate sul profitto per alcune imprese locali e di tagli degli investimenti nel trasporto pubblico hanno contribuito a peggiorare una situazione già pessima. A questo va aggiunto che i proprietari di impianti industriali particolarmente inquinanti fanno di tutto per ritardare l’adozione di tecnologie che diminuiscono la quantità di inquinanti prodotti per non intaccare il proprio profitto oppure cercano di scaricare questi costi sui lavoratori.

E questo non vale solo a livello locale ma anche a livello globale: la pantomima degli accordi sul clima di Kyoto, Copenaghen e Parigi ben dimostrano che le classi dirigenti del globo non hanno interesse a diminuire le emissioni inquinanti neanche a fronte dei disastri creati dal global warming: ancora una volta vediamo il profitto di pochi prevalere davanti alla salute di tutti.

Fino a quando scienza e tecnologia non saranno utilizzate per migliorare le condizioni di vita dei cittadini invece che per accumulare capitale, l’inquinamento e in generale i danni per l’ambiente potranno solo peggiorare. A prescindere da tutte le domeniche senza auto e i giorni a targhe alterne proclamati dai vari Comuni.

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Courage: avanti, bigotti!

Le polemiche seguite all’arrivo a Reggio Emilia dell’associazione Courage hanno fatto emergere la reale posizione dei vertici del clero reggiano. Il vescovo Camisasca ha apertamente rivendicato il suo beneplacito nei confronti di questa associazione dedita alla diffusione dell’omofobia e della transofobia. L’associazione Courage si prefigge di curare gli omosessuali e di fornire supporto ai loro parenti e amici. Fornisce cioè argomenti a chi è incapace di accettare la vita sessuale e affettiva altrui e vorrebbe far passare come malato, da curare o ostracizzare, l’individuo con un orientamento sessuale diverso dal suo. In questo si svela il sostanziale impianto omofobo, oscurantista e reazionario dei vertici della chiesa cattolica reggiana.

Nell’ultimo anno abbiamo potuto assistere a crescenti polemiche in merito alla così detta “teoria gender” che altro non è che un’invenzione propagandistica dei settori più retrogradi della società italiana, abbiamo potuto assistere ai deliri delle “sentinelle in piedi” che, incapaci di accettare la diversità altrui e gridando a presunti tentativi di censura nei loro confronti, altro non fanno che spargere odio, menzogne e veleno. Inoltre con la benedizione delle alte sfere ecclesiastiche, da anni nel territorio reggiano si rafforzano sette cattoliche che costruiscono società chiuse per i propri adepti, si infiltrano nelle scuole pubbliche e promuovono terapie omofobe per i membri e i loro familiari anche bambini/e che esprimono atteggiamenti sessuali non conformi alla dottrina cattolica.

La Federazione Anarchica Reggiana ribadisce il proprio impegno per la costruzione di una società dove chiunque possa vivere in modo sereno la propria sessualità, nel rispetto della libertà propria e altrui, in cui venga abbattuta la violenza di genere, su cui sono fondate molte delle strutture sociali autoritarie che quotidianamente combattiamo. Nelle scritture religiose molte pratiche di dominio trovano ampia giustificazione, per questo è sempre più necessaria la costruzione di una società che sia realmente laica e pluralista.

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Natale dell’Utopista 2015

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Le loro guerre, i nostri morti

Le loro guerre, i nostri morti

Ancora sangue a Parigi, ancora sangue a Beirut. Nel giro di quarantotto ore lo Stato Islamico rivendica le stragi nei quartieri sciiti di Beirut, quaranta morti, e nel centro di Parigi, centoquaranta morti.
Nemmeno un anno fa, sempre a Parigi, gli islamofascisti del Califfato attaccavano la sede del giornale libertario Charlie Hebdo, massacrandone la redazione, e cercando di mettere sotto scacco la libertà di espressione.
Nemmeno un anno fa assistevamo all’ennesima ondata di marea dei nostri fascisti locali, con l’orbace nero o con la più moderna tinta verde, che agendo da sciacalli, quali effettivamente sono, tentavano di indirizzare lo sgomento per il massacro di Parigi per i loro turpi giochetti elettorali.
Ci risiamo: dopo i centoquaranta morti di venerdì 13, oscurati i quaranta morti di Beirut, non consone alle esigenze di propaganda di chi spaccia la bufala dello scontro di civiltà, la canea fascista reclama il proprio spazio sul palcoscenico. Noi siamo la carne da macello delle loro guerre.
Ma se spostiamo i nostri occhi dai grotteschi attori presenti sul palco, siano essi capi di governo o aspiranti tali, vediamo una realtà ben diversa.
Una realtà in cui lo Stato Islamico agiscono principalmente in una guerra interna allo stesso mondo musulmano-mediorientale. Le azioni dell’ISIS sono state per lo più rivolte verso musulmani di altre correnti religiose, verso arabi laici, verso persone comuni della Siria e dell’Irak. Per consolidarsi l’ISIS ha ricorso al più bestiale sfruttamento della manodopera locale nei campi petroliferi. Niente di nuovo sotto il sole: si sono semplicemente sostituiti alle aziende prima presenti che vendevano il petrolio ai grandi colossi del petrolchimico occidentali. E continuano a venderlo agli stessi acquirenti grazie al compiacente governo turco.
Nella realtà delle cose, ben lontana dalle parole delle anime belle istituzionali, i principali paesi europei sono alleati, tramite la NATO, con la Turchia governata dal dittatore assassino Erdogan, che appoggia l’ISIS in funzione anti-kurda; nella realtà delle cose si vendono bombe prodotte in Italia all’Arabia Saudita, che altro non è che una versione internazionalmente accettata dell’ISIS. Bombe che vengono usate per bombardare le città yemenite, per massacrare una popolazione inerme.
Il re è nudo per quanto i nostri bravi giornalisti continuino a decantare la bellezza delle sue vesti.
Nella realtà delle cose chi scappa dalle guerre in medioriente scappa dalle azioni barbare dell’ISIS e dei vari governi regionali e da quanto scatenato da quasi quindici anni di interventi militari occidentali, al netto di quanto possa vomitarsi addosso salvini.
Se si vuole lottare contro l’ISIS e i suoi alleati si deve lottare contro i meccanismi strutturali che permettono a questa gentaglia di prosperare sulla pelle di centinaia di migliaia di persone. Si deve lottare per l’ampliamento di tutte le libertà, per una società libera, giusta, solidale, internazionalista, per l’abolizione dello sfruttamento del lavoro e del dominio della merce, contro il potere temporale delle religioni.
E c’è già chi lo fa sul campo, mentre gasparri, blatera di bombardare a destra e a manca: i nostri compagni dei gruppi anarchici turchi e delle comunità autogestite del nord del Rojava da mesi impongono sonore sconfitte militari agli islamofascisti, liberando parti di territorio sempre più ampie.
Solamente l’azione internazionalista, solidale, libertaria, che non si perda dietro a supposti salvatori, americani o russi, capace di travalicare qualsiasi frontiera può mettere in crisi e sconfiggere quello che genera tutte le forme di terrorismo: il dominio dell’uomo sull’uomo e dell’uomo sull’ambiente.

Federazione Anarchica Reggiana

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sulla manifestazione antimilitarista del 7 novembre a Reggio Emilia

Domenica 8 novembre 2015

Comunicato sulla manifestazione antimilitarista del 7 novembre a Reggio Emilia

Sabato sette novembre si è svolta, come oramai da consuetudine annuale, la manifestazione antimilitarista “Contro tutte le guerre – Contro tutti gli eserciti” in occasione del quattro novembre.
La manifestazione è stata indetta, come sempre, dalla sezione USI – AIT di Reggio Emilia e ha visto l’adesione della Federazione Anarchica Reggiana – FAI, Cassa di Solidarietà Libertaria e Pollicino Gnus.
Il concentramento è avvenuto in Porta S. Croce e il corteo si è mosso verso la Via Emilia per concludersi in Piazza Prampolini. Alla manifestazione ha partecipato anche l’artista libertario Cecio de “Gli Spavaldi” che, in Piazza Prampolini, ha portato in scena una performance sul valore della diserzione.
Un’ottantina i compagni e le compagne con molte bandiere rosse e nere dell’USI – AIT e della FAI che hanno colpito l’attenzione dei reggiani impegnati nella classica vasca del sabato pomeriggio.
La manifestazione si è conclusa in piazza Prampolini con due interventi di Gian Maria Valent della FAI Reggiana e di Colby (Franco Bertoli), segretario nazionale dell’USI – AIT, che, partendo dal centenario della prima guerra mondiale e della conseguente esaltazione del macello fatta in questi mesi dalla retorica istituzionale hanno denunciato le guerre in corso, lo sperpero di denaro pubblico e i costi sociali degli apparati militari che ammontano a ottanta milioni di euro al giorno. È stata un’ottima giornata di propaganda, grazie anche al clima quasi estivo, che ha permesso di distribuire volantini e fare interventi al microfono durante il percorso. A seguire un bel momento conviviale con aperitivo e cena presso il circolo Berneri in via don Minzoni.

USI- AIT Reggio Emilia

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