Per un municipalismo fuori dal Comune

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Il Municipalismo fuori dal comune

Il presente documento prende spunto dalle relazioni fatte dalla Commissione Comunalismo Libertario della FAI e dall’opuscolo “nessuna delega! abbattere la piramide costruire il comunalismo libertario” curato dalla Federazione Anarchica Spixana di Spezzano Albanese.Con questo primo contributo al dibattito è nostra intenzione aprire una riflessione sull’autogoverno dal basso attraverso l’ipotesi del Comune Libero. Questa discussione non parte dalle campagne elettorali alle quali da sempre noi non partecipiamo, ma da un’esigenza sentita dall’area libertaria di realizzare un “tavolo di lavoro” per affrontare un tema che rientra a pieno titolo nel patrimonio storico e politico dell’anarchismo. Pertanto sarà necessario aprire una riflessione sul municipalismo libertario con una proposta “fuori dal Comune” per sedimentare una cultura dell’autogoverno.Una cultura distante dalle pratiche rituali della delega, e ancor più lontana da processi elettorali farlocchi costruiti dalle vecchie e nuove rappresentanze politiche. Crediamo inoltre sia necessario un approfondimento sulle tematiche federaliste, autonomiste e comunaliste che hanno segnato la storia del movimento socialista e internazionalista. Pensiamo che le istanze municipaliste per essere autentiche vadano collocate in una dimensione federalista con una forte autonomia locale fondata sulla pratica dell’azione diretta. Siamo sicuri che una proposta municipalista concreta vada inserita in un’ampia progettualità libertaria e di classe che metta in discussione i meccanismi centrali e periferici di qualsiasi potere evitando derive politiciste.

Federazione Anarchica Reggiana

Introduzione

Gli anarchici e le anarchiche sono convinti che concedere fiducia al potere sia una mera illusione e che il procacciare consenso al potere si basi sull’inganno democratico. Siamo sicuri che tutti, uomini e donne, abbiano le capacità per poter affrontare e risolvere in maniera diretta i problemi sociali, e sosteniamo che il voto e la delega non sono altro che strumenti creati dal potere stesso per perpetuarsi, e che a loro volta generano disuguaglianze, sfruttamento, oppressione, militarismo e guerre.

Proprio per questo denunciamo e combattiamo tutte le forme di dominio e di sfruttamento, e sempre per tale ragione pratichiamo e sosteniamo l’astensionismo elettorale. Ma l’anarchismo sociale non si caratterizza solo nel denunciare e combattere la società gerarchica. L’anarchismo sociale è anche proposta.

Infatti, noi anarchici, proprio perché convinti che la causa di guerre, sfruttamento e oppressione sia dovuta alla pessima organizzazione della società, riteniamo che l’unica soluzione possibile stia nel riprendere il destino nelle proprie mani rendendoci nel contempo attivi costruttori di una società orizzontale e non più gerarchica.

Questa è la proposta degli anarchici. Una proposta radicale, rivoluzionaria, ma nello stesso tempo gradualista: la proposta del comunalismo libertario, per conquistare e costruire insieme, con l’azione diretta, con piccole e grandi battaglie quotidiane, la libertà dei singoli e delle comunità, la realizzazione di una società libertaria, basata sul mutualismo e sull’autogestione in campo economico e su autogoverno e federalismo in campo politico.

  1. CONTRO LA SOCIETA GERARCHICA

Nel corso dei secoli, la società gerarchica ha visto numerose evoluzioni e cambiamenti che hanno per lo più agito sulla sua forma piuttosto che sulle caratteristiche essenziali della gerarchia, rimaste intatte. Anche se dalle monarchie assolute si è passati a varie forme di democrazia, il potere è stato e viene esercitato sempre a favore dei pochi e a danno dei molti. A sentire i burocrati e gli uomini di potere, soprattutto dei regimi democratici, sembra invece che la schiavitù e lo sfruttamento siano stati aboliti, la questione femminile risolta e l’istruzione abbia reso tutti consapevoli dei propri diritti e perfettamente in grado di esercitarli.

Purtroppo molte persone, soprattutto quelle che più subiscono le iniquità del potere, drogate da questa propaganda e fiaccate dalla lotta per arrivare a fine mese, dalla precarietà del lavoro, dalle sempre maggiori difficoltà del vivere quotidiano, lasciano che altri tirino le fila delle loro vite. Lasciano che politici e padroni decidano sulla loro pelle quale nuova forma di sfruttamento adottare, quale nuova legge approvare per allontanare o ghettizzare lo straniero o il diverso, quale nuovo terrorismo psicologico e mediatico inventare per giustificare oppressione, repressione e guerre e per normalizzare la pubblica opinione.

Le varie forme di dominio politico che si sono succedute nel corso della storia hanno affinato sempre di più i loro metodi per conservare il potere. La borghesia, poggiando il suo credo sociale sulla democrazia delegata in campo politico e sulla proprietà privata in campo economico, ha preteso di voler realizzare liberté, fraternité, egalité, ma in realtà, a gerarchia ha sostituito gerarchia, a sfruttamento ha sostituito sfruttamento. La stessa sorte è toccata a quelle scuole politiche del socialismo reale e socialdemocratiche che, in lotta contro il potere borghese, hanno preteso di giungere ad una società egualitaria sostituendo un potere con un altro, con la differenza che mentre le prime sono già implose le seconde continuano a marciare a braccetto con il sistema di potere contro il quale erano sorte.

Non c’è popolo sulla faccia della terra che non soffra miseria, sfruttamento e oppressione, come non c’è classe dominante che non viva nell’agiatezza. Nelle nazioni governate da regimi dittatoriali tutto ciò è evidente. Nelle nazioni governate da regimi democratici, invece, le ingiustizie sociali vengono semplicemente mascherate da un falso benessere, dietro il quale si cela sempre il dominio dei pochi. Ogni forma di Stato democratico presenta proprie peculiarità formali, ma una caratteristica fondamentale le accomuna tutte: basano la loro legittimità sulla delega che carpiscono ai cittadini tramite il voto. E sempre questa delega legittima maggioranze parlamentari e governi che prendono decisioni contrarie all’interesse dei cittadini, sia nel campo del lavoro che in quello dei diritti, che in quello ambientale.

Il potere decisionale che viene delegato ad un corpo di professionisti della politica rappresenta il vero potere, mentre al popolo non resta altro che il potere di scegliere i suoi rappresentanti, cioè coloro che decidono al posto del popolo. Gli strenui difensori dello Stato spesso obiettano a noi anarchici che lo stato è necessario, perché serve a regolare l’egoismo dei singoli e che l’odierno stato di diritto rappresenta il mezzo attraverso cui limitare gli abusi e il dominio dei più forti e garantire diritti e doveri del cittadino. Altrimenti, sostengono, si ricadrebbe in una situazione di perenne disordine sociale ossia nel caos e nell’anarchia. Perché evidentemente è così che intendono l’anarchia.

In realtà quanti hanno occhi per vedere possono accorgersi che lo stato, sia pure democratico, non ha fatto mai avanzare né la libertà né le prospettive di uguaglianza e di pace, e che anzi nel suo nome vengono limitate le libertà individuali e collettive, viene alimentato lo sfruttamento e vengono combattute guerre atroci e liberticide. Inoltre lo stato, legato com’è a filo doppio con il sistema economico dominante, non ha nessuna intenzione a risolvere il conflitto di interesse che deriva dai suoi rapporti col capitalismo, e insieme sfruttano e saccheggiano le risorse dei territori e delle comunità per garantire la ricchezza di pochi e la miseria di molti.

Lo stato non siamo noi. Non sono i cittadini. Non sono i lavoratori.

Lo stato è l’esercito, che in nome della patria massacra popolazioni e occupa territori per saccheggiarli e sfruttarli. Lo stato è la polizia, che reprime ogni dissenso sorto fuori dai binari della politica delegata. Lo stato sono governi e parlamenti che legiferano per garantire gli interessi dei padroni e riprodurre il proprio sistema di potere. Lo stato è la magistratura che esercita il suo potere per proibire, censurare, vietare, punire i deboli, i poveri, i diversi e per proteggere i potenti, le loro proprietà e i loro interessi. Lo stato è la mafia, il clientelismo, il potere occulto che interviene con bombe e stragi quando quello ufficiale non basta.

  1. CONTRO IL FALSO FEDERALISMO

Le varie forme di federalismo sviluppatesi all’interno della società del dominio si rifanno naturalmente alla scuola del federalismo borghese, e non sono altro che un’unione di più stati regolata da una costituzione federale comune. Gli Stati Uniti, la Germania, la Svizzera sono stati federali, nel senso che alcuni poteri sono lasciati ai singoli stati -soprattutto quelli amministrativi- mentre altri -soprattutto quelli riguardanti la politica estera e la sicurezza- sono in capo al governo federale. Anche l’Unione Europea per certi versi può essere vista come un embrione di stato federale. Ma se è vero che “federazione” significa unione fra pari, come può questa conciliarsi con una società piramidale e con la logica capitalista dello sfruttamento?

In Italia nel 1990 è stata emanata la legge 142, e burocrati e politicanti di mestiere non tardarono a definirla rivoluzionaria, affermando che da quel momento la trasparenza e l’autonomia amministrativa avrebbero cambiato radicalmente volto al governo dei comuni e ai rapporti tra questi e i governi provinciali, regionali e nazionale, prospettando in divenire un reale federalismo economico nonché una partecipazione diretta dei cittadini all’esercizio del potere. Statuto comunale, referendum, difensore civico, partecipazione dei cittadini al governo della cosa pubblica dovevano rivoluzionare il governo delle città, ma da allora, se si vanno a esaminare tutte le disposizioni del governo centrale nei riguardi delle autonomie locali si può dedurre che più che una rivoluzione ci sia stata una controrivoluzione accentratrice dello Stato, che non ha tardato certamente con altre leggi a prevedere l’autonomia impositiva, la razionalizzazione dei servizi, un neo fiscalismo con cui si è imposto ai comuni non tanto di trovare fondi per se stessi, quanto il fungere da esattori delle tasse per lo stato. Una controrivoluzione che porta i cittadini semplicemente a dover scegliere chi deve essere il loro capo -nei comuni il sindaco e nella nazione il premier- una controrivoluzione dunque che rivaluta la delega e la ritrovata fiducia nei capi.

Fra l’altro, i comuni e gli altri enti locali spesso non possono nemmeno utilizzare autonomamente i fondi che hanno a disposizione senza essere preventivamente autorizzati da apposite leggi dello stato. Una delle conseguenze di questa “autonomia” dei comuni è la proliferazione edilizia, figlia senz’altro della logica speculativa delle imprese, ma alimentata anche dal fatto che gli oneri di urbanizzazione sono stati gli unici introiti su cui i comuni potevano contare per fare cassa.

Del resto pensare che dalle leggi prodotte da un sistema gerarchico possano nascere un reale federalismo e una partecipazione diretta dei cittadini al governo è una mera illusione. Dall’applicazione di una legge dello stato non si possono certo attendere rivoluzioni: quale autonomia ha offerto ai comuni la legge 142, se questi rimangono a tutt’oggi succubi dello stato? Il nodo da sciogliere rispetto alle variegate proposte di federalismo e autogoverno locale che oggi da più parti si agitano e senz’altro quello di capire quali fra queste propongono un federalismo reale e quali propongono invece un semplice decentramento statalista mascherato da federalismo. Di decentramento e autonomia lo stato italiano continua a sciacquarsi la bocca, stravolgendo però l’essenza di questi due concetti, che nella loro accezione originaria significano la costruzione di una rete mutua e solidale di comunità autogestite in campo politico economico e culturale.

Al loro posto, le forze politiche di centrodestra e centrosinistra considerano come federalismo, autogoverno o “devolution” il semplice fatto di riservare al governo centrale le questioni realmente rilevanti e impattanti sull’economia e sugli assetti dei territori (vedi le “grandi opere” e le opere “strategiche”) e delegare materie amministrative alle autonomie locali, che devono anche assumere un ruolo di mediatori tra i cittadini e il potere statale e padronale utilizzando illusori strumenti di “democrazia partecipativa” che altro non sono se non paraventi dietro i quali imporre alle comunità decisioni prese da altri in altro loco.

Una materia delegata negli ultimi anni dallo stato alle regioni è stata la politica sanitaria, delega effettuata senza prevedere un corrispondente trasferimento di fondi per uniformare i trattamenti a livello nazionale. Questo “decentramento” ha prodotto negli ultimi anni una sempre crescente privatizzazione del settore, e di conseguenza una sempre maggiore disparità di trattamento fra i cittadini in base alla residenza. Questo tipo di decentramento non ci potrà mai avvicinare anche di un solo passo alla costruzione di un federalismo libero e solidale.

Il vero federalismo non potrà mai essere concesso dallo stato. Il federalismo è quello che si costruisce dal basso, in orizzontale, che nega lo stato per sostituirlo con una rete di liberi comuni autogovernati e federati nei principi del mutualismo e della solidarietà.

  1. IL COMUNALISMO LIBERTARIO

L’anarchismo sociale non si caratterizza solo per il rifiuto della società gerarchica e la lotta contro ogni forma di potere e di sfruttamento, ma anche e soprattutto per la sua proposta concreta di una società altra, basata sulla libertà e che della libertà si serve per realizzarsi. L’anarchismo sociale ci invita a riflettere sul fatto che se si vuole realmente cambiare l’iniquo sistema sociale in cui il potere ci costringe a vivere con una società dove il benessere e la libertà dei singoli corrispondono al benessere e alla libertà di tutti e viceversa, non lo si può fare abbattendo il potere e sostituendolo con un altro potere e neppure servirsi del potere come strumento di lotta. Ma neanche ci si può servire, aggiungiamo, degli strumenti che il potere stesso mette a disposizione dei suoi sudditi per illuderli di poter rendere migliore il sistema di dominio. All’interno dei sistemi democratici sono in molti, oggi come ieri, a illudersi di poter migliorare il sistema attraverso il voto.

Al contrario, la proposta anarchica mette al bando ogni illusione riformista, rifiuta la delega, predilige l’azione diretta e afferma che alla libertà si può giungere solo attraverso l’esercizio della stessa libertà. La proposta anarchica sostiene che uguaglianza e giustizia sociale si possono ottenere solo sostituendo alla gerarchia, all’accentramento, allo stato, la pratica di un vivere sociale orizzontale. Una società in rete, senza centro né periferia. Un vivere sociale che parta dall’individuo e, passando per la libera associazione fra individui arrivi alla comune e infine a una federazione che racchiuda in sé l’intero corpo sociale, che unisca le libere comuni dal territorio al mondo intero.

Presentata in questo modo, questa proposta può sembrare un’utopia non realizzabile nel concreto, ma non è così. La società in cui viviamo non ci è stata fornita tal quale dalla natura ma è un prodotto umano, creato e modellato dal susseguirsi di millenni di società autoritarie, di stati e chiese e padroni.

Se vogliamo cambiarla non dobbiamo far altro che cambiare modelli, cambiare prassi e iniziare a riformulare l’idea e la forma concreta della società improntandola alla solidarietà, al mutualismo, all’autogestione e all’autogoverno.

Nel corso della storia la società gerarchica in cui viviamo è stata contestata più volte e diversi sono stati i tentativi di costruire una società diversa. Questi tentativi però non sono riusciti a cogliere la necessità di rifiutare e minare alla radice il potere su cui la piramide sociale si basava, e hanno preteso di costruire una società diversa sostituendo gerarchia a gerarchia, potere a potere. E così dalla polis greca si è arrivati al regno macedone, dalla res publica all’impero romano e dal libero comune medievale alla signoria prima, al principato poi ed infine allo stato nazionale.

Passando all’età contemporanea, il merito di avere individuato la necessità di superare la società gerarchica va senza dubbio a una specifica scuola del socialismo, quella libertaria. Esempi pratici non tardarono a manifestarsi tra XIX° e XX° secolo: Comune di Parigi, rivolta di Kronstadt, collettivizzazioni e libere comuni nella Spagna rivoluzionaria del 1936. La nostra proposta si ispira proprio questa scuola socialista, sia nel pensiero che nell’azione, ma si colloca naturalmente nell’attuale con testo storico, nei conflitti sociali che nell’oggi si esprimono. Una proposta che amiamo definire comunalismo libertario, una proposta che mira a distruggere il vecchio -il dominio- costruendo il nuovo -la libertà. La realtà contemporanea più rilevante in cui si pratica il comunalismo libertario è senza dubbio la Rojava, le cui popolazioni si stanno liberando da secoli di oppressione politica e religiosa cercando di costruire una società libertaria. Riassumere questa esperienza va oltre le possibilità e gli scopi di questo documento, per cui invitiamo a consultare il materiale apparso su Umanità Nova in questi anni.

Nell’ultimo decennio, sia in Italia che all’estero, sono emerse in campo economico politico e sociale variegate forme di sperimentalismo autogestionario. Tutte queste esprimevano, pur nella diversificazione che le contraddistingueva, il desiderio di voler costruire una società diversa, alternativa all’esistente si opponevano ai processi di globalizzazione del sistema gerarchico capitalista, e riscoprivano l’agire locale con prospettive transnazionali.

All’interno di questo movimento variegate erano le anime: alcuni pensavano che l’alternativa si potesse costruire dall’interno dell’attuale assetto sociale gerarchico, con un capitalismo dal volto umano e con forme di democrazia partecipativa. Date queste premesse, non esisteva una netta distinzione tra dominanti e dominati, tra sfruttati e sfruttatori. Tutti i soggetti, secondo loro, possono concorrere: padroni, banche, burocrati e politicanti insieme alla cosiddetta società civile, purché vengano messe in atto forme di partecipazione diffusa alle decisioni e se si costringono con la lotta i regimi democratici a dare regole più umane al potere economico e politico. L’illusione di poter cambiare le regole del gioco dell’attuale sistema, l’illusione riformista, sembra alimentare tale ricetta di alternativa sociale.

Il fatto è che il dominio capitalista e democratico si basa su regole che gli garantiscono di riprodurre e adattare ai tempi il sistema di sfruttamento e oppressione che gli è proprio, e pertanto non potrebbe mai accettare di cambiare quelle regole che permettono la sua stessa esistenza.

Il nostro comunalismo rifiuta le regole dell’attuale sistema sociale e non alimenta l’illusione che il cambiamento di questo sistema possa aversi attraverso liste e candidature elettorali o attraverso forme di cosiddetta democrazia partecipativa. Il nostro comunalismo propone di costruire le nuove basi su cui edificare un’altra società con una prassi sociale realmente autogestionaria e federalista. Propone l’azione e la democrazia diretta sia come strumenti di risoluzione immediata dei problemi sociali che come strumenti di costruzione in prospettiva di libere municipalità autogestionarie federate in una rete mutua e solidale.

Il nostro comunalismo si basa sulla metodologia libertaria del gradualismo rivoluzionario:

  • non sfugge le contraddizioni e conflitti che caratterizzano oggi la società del dominio, anzi si colloca nel terreno della lotta sociale per la difesa degli interessi immediati delle classi subalterne;

  • si prefigge, nel contempo, di iniziare a costruire nel futuro prossimo le basi alternative su cui edificare la società libera del domani.

Il nostro comunalismo, proprio per queste sue peculiarità che lo contraddistinguono da altre proposte sociali alternative, si colloca dunque fuori sia dal rivoluzionarismo millenarista che dal riformismo:

  • non rimanda la rivoluzione al domani, relegando in un domani ancora più lontano la costruzione dell’alternativa sociale che propone;

  • non si affida alla logica riformista dei partiti, movimenti, liste e candidature elettorali che pretendono l’investitura popolare per poter imporre le loro ricette di alternative sociali

  • si mantiene fuori dalle istituzioni, ma all’interno della municipalità con iniziative dal basso, nel mondo del lavoro, nel territorio;

  • rifiuta sia il collaborazionismo politico, attraverso trattative e compromessi con il governo nazionale, regionale, provinciale, comunale, sia il collaborazionismo in campo economico, mediante compromessi e complicità col padronato, che sullo sfruttamento del lavoro altrui costruisce i propri interessi;

  • nega qualsiasi valore positivo alla democrazia partecipativa, ritenuta anticamera del potere perché col potere collabora, e nello stesso tempo non concede alcuna fiducia a ipotetici cambiamenti radicali ottenuti mediante leggi dello stato;

  • mira alla distruzione del dominio, con iniziative concrete, realmente conflittuali e alternative, con la promozione di campagne sociali sui problemi collettivi e territoriali, con azioni rivoluzionarie che si riconoscono nell’autogoverno e nel federalismo dal basso;

  • si prefigge lo scopo di costruire embrioni di piccole società autogovernate, unite in rete, che in prospettiva si sostituiscano gradualmente al verticismo della statolatria come Federazione mutua e solidale di libere comuni.

  1. UNA PROPOSTA “FUORI DAL COMUNE”

Come abbiamo più volte sostenuto, la società del dominio che continua a caratterizzare il presente è una società modellata sull’autorità e, in quanto tale, la sua organizzazione rispecchia la forma piramidale, con al vertice la classe dei dominanti e alla base la classe dei dominati. La società alternativa che invece il comunismo libertario ci stimola a costruire, a partire dall’oggi, è una società modellata sulle libertà, una società che in termini organizzativi rispecchia la forma della rete, una società orizzontale senza più classi.
La costruzione di una tale società deve partire dal semplice per arrivare al complesso, comprendendo le complesse relazioni tra individuo, comunità e territorio.

Come individui, collocati oggi alla base della piramide sociale, viviamo e lavoriamo nell’ambito di specifiche comunità e realtà territoriali, soggiogati in campo politico dallo stato, in campo economico del capitale. Proprio per questo, il comunalismo libertario ci sprona a riprendere la nostra libertà e a conquistare tutti insieme le libertà comunitari e territoriali. Ci invita a promuovere assemblee popolari sulle questioni territoriali per passare la parola e le decisioni direttamente a coloro che nel territorio vivono e lavorano, invalidando nel contempo l’azione di sindaci, giunte municipali e di tutti gli altri organi di potere che impongono le loro decisioni sulle comunità. Ci sprona a dare vita, dal paese alla metropoli, a strutture comunaliste e territoriali di base, extra istituzionali, né subalterne né meramente rivendicative in campo economico e politico, sia nei confronti delle organizzazioni municipale gerarchiche che del padronato. Strutture di base aperte, senza distinzioni di razza, sesso, credo politico, filosofico, religioso, e unite nell’accettazione della metodologia libertaria, nel rifiuto della delega, nella prospettiva di una società autogestionaria.

Per meglio chiarire in termini pratici i concetti espressi, queste strutture comunaliste, riguardo gli obiettivi immediati, potranno:

  • promuovere iniziative di lotta contro il padronato e lo stato, allo scopo di migliorare le condizioni di vita e di salario, e per la non ingerenza dello stato nei frutti del proprio lavoro;

  • sviluppare azioni conflittuali e di controllo nei confronti delle amministrazioni comunali (gestione urbanistica, servizi, ambiente, ecc.);

  • stimolare la costruzione di organismi autogestiti ed autogestionari su base di quartiere o frazione, con lo scopo di promuovere l’elaborazione di un bilancio comunitario, alternativo a quello dell’amministrazione comunale;

  • dare vita a forme dirette di consultazione della popolazione con proposte protese alla salvaguardia degli interessi delle classi sfruttate, alla salvaguardia e tutela dell’ambiente;

  • individuare forme e fonti di nuova occupazione, mutualismo e solidarietà tra i cittadini componenti le comunità lavoratrici, per l’autogestione dei servizi pubblici e di tutte le risorse territoriali;

  • proporre piattaforme sociali unitarie, locali e territoriali, prospettando lotte comuni per la risoluzione dei problemi di ogni singola comunità e del territorio, nell’ottica di uno sviluppo autogestionario.

Riguardo alle finalità complessive, tendenti a costruire già nell’oggi le basi della società alternativa, tali strutture comunaliste potranno invece promuovere in campo economico e politico iniziative:

  • per l’abolizione del lavoro salariato e del capitale, stimolando la promozione di un associazionismo mutualista, solidale e autogestionario che si proietti verso la negazione della proprietà privata con la socializzazione dei mezzi e degli strumenti di lavoro e produzione;

  • per l’abolizione dell’amministrazione burocratica fondata sulla delega, per la realizzazione dell’autogoverno municipale, con azioni di reale contropotere autogestionario, attraverso assemblee popolari generali e di quartiere che deliberano servendosi della democrazia diretta.

Solo un impegno che parta dal basso, solo un’azione sociale gradualista e rivoluzionaria capace di costruire con proposte praticabili elementi di società libertarie, potrà nel tempo costruire un’altra società.

Una società da costruire tutti insieme, passo dopo passo, percorrendo la strada della libertà non più da dominati, ma da donne e uomini liberi, da artefici del nostro futuro.

Federazione Anarchica Reggiana – FAI

Via Don Minzoni 1/d – Reggio Emilia

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