Dall’antifascismo all’antimafia
risposta all’intervento di Albertina Soliani
Abbiamo letto con attenzione sulla gazzetta di Reggio di ieri (3/11/2015) l’intervento della presidente dell’istituto A. Cervi, Albertina Soliani in margine al processo Aemilia. Senza voler entrare nel merito del processo in sé, come FAI Reggiana ci sentiamo di rimarcare un punto a noi caro: quanto sia fuorviante “difendere” la legalità usando l’antifascismo, fare cioè di quest’ultimo e dell’antimafia due facce di una stessa medaglia.
La legalità è ben diversa dalla giustizia, poiché determinata dai governanti e potenti di turno. Durante il regime fascista era legale – lo ricordiamo anche se pare ridondante – incarcerare, perseguitare e deportare persone per le proprie idee politiche, per la religione e “razza”; era legale torturare, uccidere, rastrellare in base alle “leggi di guerra”.
Anche dopo la caduta del fascismo il sistema giudiziario repubblicano, costituzionale e antifascista, ha mantenuto al suo interno alcuni dei peggiori prodotti del fascismo: il codice penale Rocco e il TULPS.
La legalità è sempre una questione di potere e di rapporti di forza, non è un valore in sé e per sé.
Il concetto di legalità è quanto di più ambiguo e acritico esista. Educare alla legalità è educare a obbedire a chi detiene il potere. Gli antifascisti, i partigiani – i Cervi in quanto tali – erano fuori legge, pensavano con la propria testa, un valore che andrebbe difeso e promosso decisamente più dell’obbedienza, e agivano di conseguenza, al di là di quella che fosse la legalità dell’epoca.
Che le istituzioni si facciano paladine della lotta alla mafia è paradossale. I connubi tra alcune cordate interne allo stato italiano e le grandi organizzazioni criminali nel contesto della strategia della tensione,
papelli e trattative, o, più recentemente, gli attori mafiosi lontani dagli stereotipi a base di coppola e lupara che si muovono intorno alle grandi opere infrastrutturali ed urbane, dimostrano che tra istituzioni e poteri mafiosi si è sempre trovato un accordo che accontentasse tutti.
Inoltre accomunare antifascismo e antimafia è fuorviante. Unire fenomeni così lontani nel tempo e diversi tra loro è indice di strumentalizzazione.
Che l’Istituto Cervi, luogo di memoria così importante per la storia di cui è portavoce, accrediti facili parallelismi completamente fuori contesto fa temere per la memoria dell’antifascismo, trasformato dalle
istituzioni in vuota retorica, merce di scambio nell’attualità, dal retroterra di riferimento che dovrebbe essere.
L’etica della solidarietà e della partecipazione nulla ha a che vedere con le istituzioni. La legalità è forma non contenuto. E’ una delega in bianco al controllo sulle nostre vite e coscienze.
Federazione Anarchica Reggiana